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Innanzitutto grazie per queste domande perché mi avete fatto fare un viaggio indietro nel tempo non indifferente e poiché ho una mente che è sempre proiettata al futuro, ogni tanto fermarsi e riflettere su quanto fatto è doveroso per capire chi siamo.

Quello che mi ha portato ad occuparmi di “Fotografia Sociale” è un percorso piuttosto complesso ma fisiologico essendo io anche un operatore socio sanitario.

Da bambina amavo ritagliare le immagini dai giornali e conservarle in una scatola, così è nato il mio amore per il mondo visuale.

A casa poi c’era una grande polaroid di mio padre, e così fin da piccola ho sempre scattato su pellicola e conservo ancora oggi meticolosamente le immagini sviluppate.

È solo nel 2017 che decido di approfondire e mi iscrivo a un primo corso base che si rivela un disastro totale, così decido di darmi un’ultima opportunità prima di appendere la fotocamera al chiodo, quest’ultimo corso base ha svoltato il mio percorso e ho iniziato a fotografare ragazzi con disabilità durante le sedute di pet therapy.

Nel 2018 ho iniziato a seguire corsi più professionali, mi appassiona tanto studiare fotografia e gli autori.

Nel 2019 inizio un reportage in collaborazione con Garda Emergenza, e per un anno documento la vita dei volontari sulle ambulanze, il lavoro è stato interrotto dall’arrivo del Covid.

Nel 2020, grazie all’ Associazione Elisoccorso Brescia Bravosierra ho il piacere di realizzare una fanzine con all’interno i ritratti fatti all’equipe di Elisoccorso Brescia.

Sempre nel 2020 mi ammalo e da questa esperienza nasce il progetto “Perché la vita” che sta per diventare un libro ed è stato ospitato in numerose mostre in tutta Italia.

Quando fotografiamo qualcuno dobbiamo sempre agire nel rispetto della persona ed entro certe norme di comportamento, purtroppo sappiamo benissimo che non è sempre così.

Io credo che chiunque si affidi alla fotografia debba studiare etica perché bisogna saper distinguere fra i valori personali e un’etica professionale condivisa.

Personalmente mi affido ai valori basati sulla dignità umana che comprendono: rispetto per le persone, comportarsi bene, evitar pericoli, dire la verità, rispettare le informazioni riservate, mantenere le promesse, altruismo, autonomia, integrità e giustizia sociale.

Secondo me il nostro lavoro è costituito da una parte manuale, una parte relazionale e da una parte di progetto e riflessione sul proprio lavoro, dobbiamo sempre riflettere su quello che stiamo facendo e farci sempre tante domande.

Importantissimo è conoscere la realtà che raccontiamo, possedere abilità comunicative e relazionali adeguate al contesto. Fondamentale è sapere che le capacità relazionali e comunicative non sono qualità innate, ma dipendono da un percorso formativo.

E poi non dovremmo mai dimenticarci di essere veri.

La fotografia mi ricorda costantemente che per “vedere” realmente è necessario sospendere i pregiudizi.

Per me rappresenta tutto quello che non riesco a dire ed è un modo per mettermi in ascolto dell’altro e di me stessa, è uno strumento per ridurre la paura, l’ansia e lo stress, facilita lo sviluppo della fiducia e permette alle persone di aprirsi, in altre parole è empatia. Di solito in noi prevale l’esigenza di esprimerci, piuttosto che di ascoltare l’altro, ecco il mezzo fotografico mi permette di ascoltare efficacemente chi ho di fronte.

Fare fotografia mi permette inoltre di essere il più possibile me stessa e di non preoccuparmi di quello che pensano gli altri.

Intervista a cura di Fabio Moscatelli, art director di Frame for life.

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