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Fotografo, videomaker e fotoreporter che ha viaggiato molto, Marco Palombi ha seguito tante cause umanitarie, ha affiancato e continua ad affiancare le organizzazioni non governative e gli enti di terzo settore impegnati nella tutela dei più fragili in tutto il mondo.


Marco, grazie per essere qui con noi, conosci bene Frame for Life, tra l’altro in questo momento stiamo lavorando insieme per lo sviluppo di un progetto fotografico dal titolo “Muri”, che intende esplorare la simbologia e le implicazioni dei muri, come barriera fisica, ma anche come separazione sociale, politica e culturale.
Rappresentando I fotografi che si occupano di diritti umani, di cause sociali e di fotografia di sensibilizzazione, come Frame for Life non possiamo in questo momento non occuparci di quello sta accadendo a Gaza: abbiamo pensato che il nostro impegno a sensibilizzare possa partire proprio da un dialogo con fotografi, registi, videomakers ed esperti di diritti umani e di diritto umanitario. Oggi siamo qui per approfondire la tua esperienza di fotografo in quelle aree.

  1. Partiamo dalla tua esperienza sul campo: dove sei stato tra Israele e Palestina, come hai vissuto le tue esperienze fotografiche e cosa ti sentiresti di riportarci?

Nell’ultimo anno ho viaggiato spesso in queste aree, in particolare Cisgiordania, Betlemme e Gerusalemme. Non a Gaza perché non potevo entrarci. Ho trovato sempre una situazione difficile da fotografare per la tensione e per ciò che si respirava già in quelle aree negli anni precedenti a questo momento storico.

Quando ti trovi nel campo profughi di Betlemme, l’Aida Camp, trovi dei racconti terribili da riportare a casa. Lì l’esercito israeliano arriva con i carri armati, i soldati strappano la bandiera, e spesso sparano nel campo profughi. Stiamo parlando di un campo profughi! Sai, emozionalmente è molto difficile da descrivere, da fotografare e fare video. Le testimonianze video che ho raccolto sono tutte racconti di persone del campo, gente che non ha mai un diritto a fare una propria vita “normale” e che convivono con la paura.

Proprio quest’anno ho realizzato un progetto fotografico a Beirut, e li sono stato accompagnato nel campo di Shatila, che è il famoso campo nato nel ‘49 per far fronte ai profughi palestinesi, nato come una tendopoli, dove l’ UNRWA* e altre Associazioni umanitarie assicurano assistenza. Ho trovato una situazione a dir poco paradossale, nel senso che queste persone vivono in un recinto, l’educazione è limitata, le cure mediche non ne parliamo…  la cosa che mi ha colpito più di tutto è il fatto che alle tre del pomeriggio praticamente non c’è più il sole. Già, questo campo è stato costruito in altezza e quindi anche in un paese come il Libano dove c’è tanto sole, alle 15.00 scompare e si vive al buio. Il campo era nato per ospitare 3000 persone e oggi ne ospita 17.000, quindi potete immaginare la crescita di questi palazzi enormi e cresciuti in altezza, il luogo mi è sembrato un incubo sovraffollato, oltre al fatto che se escono per cercare di farsi una vita non trovano lavoro perché discriminati come Palestinesi. Eppure, adesso mi veniva da pensare che queste persone che stanno lì e sono più fortunate rispetto a chi oggi vive a Gaza…

  1. Sì, oggi la situazione è drammatica, senza dubbio più di ogni altro momento passato, quale è il tuo sentire, cosa ti allarma

Rimango quotidianamente allibito di quello che sta succedendo. Credo che la storia ci renderà conto di tutto ciò, questo genocidio -perché penso che si debba chiamare genocidio- è tra l’altro il primo che avviene in diretta televisiva e in diretta social e quindi possiamo vedere tutti quello che sta succedendo coi bambini ammazzati dalle bombe, morti per fame, per sete, senza cure mediche. Stanno bombardando una prigione a cielo aperto e questi secondo me sono crimini terribili, ritengo non sia possibile non prendere posizioni nette ed è inconcepibile che non lo facciano i nostri governi.

  1. Dal tuo punto di vista, cosa può fare la società civile, comprese le organizzazioni di terzo settore che la compongono?  E cosa può fare una organizzazione come la nostra?

Si, credo davvero sia tempo di schierarsi, come poi stanno facendo in tanti, tante persone, tanti lavoratori che stanno anche scioperando e manifestando per la Palestina, per un popolo che viene distrutto ed è vittima di una pulizia etnica. Per le associazioni, beh quello che posso aggiungere riguardo proprio alla società civile e visto che i media riescono solo in parte a raccontare, beh credo davvero che la società civile si dovrebbe riunire e unire per dare forza a quello che non sempre ha voce, e che talvolta mi sembra non sia raccontato per davvero. Mi ricordo a Gerusalemme ho intervistato il cardinal Pizzaballa e il parroco Romanelli (Papa Francesco, vi ricorderete, lo chiamava tutte le settimane) e ricordo che lui chiedeva a me : “secondo voi è giusto bombardare una scuola e una chiesa o un ospedale quando si pensa che magari sotto ci sono due o tre persone di Hamas, uccidendo un numero altissimo di civili?”. Ora, se alcune voci forti mancano, serve l’unione delle voci più deboli, la forza della società civile.

  1. E per ciò che riguarda più specificatamente i fotografi e i videomaker, di fronte a questo momento di difficoltà in cui la loro stessa libertà d’azione è limitata? A Gaza i colleghi delle organizzazioni umanitarie e i reporter vengono uccisi e minacciati insieme ai palestinesi: dove stiamo andando a finire secondo te?

Beh io credo fortemente che il mio lavoro, in questo momento, sia quello divulgare notizie,  fotografie, video su questa situazione. È ora di prendere una posizione netta e raccontare quello che sta succedendo, senza nessuna censura. È impressionante, non è mai successo ai tempi nostri che un numero altissimo di giornalisti, fotografi e operatori umanitari sia stato ucciso e questo è come bombardare anche la verità.

Ma questo non accade solo adesso, ho conosciuto tante persone in quelle terre, con cui ho condiviso del tempo, e ho delle interviste delle fotografie. Loro anche adesso a distanza di mesi mi mandano dei report e dei video soprattutto dal sud del Libano. L’esercito israeliano continua a bombardare anche le scuole perché ritengono che li si nasconda Hezbollah, anche adesso che questa area viene raccontata di meno perché si occupano più di Gaza, ma questo continua ad avvenire….

Faccio fatica a credere in una soluzione, credimi, ma l’impegno a volere la difesa dei diritti umani non deve mai mancare, da parte di tutti noi, di tutti.

Intervista a cura di Silvia Superbi, presidente di Frame for Life ETS

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Marco Palombi, fotoreporter free lance, inviato di Repubblica, La Stampa ed altre testate, dagli anni ‘90 del secolo scorso viaggia per raccogliere immagini per i suoi reportage, dove le minoranze etniche, i popoli nomadi e i contrasti tra occidente ed oriente diventano il fulcro della sua ricerca fotografica.
Dal 2007 pubblica  i suoi reportage su” La Repubblica” La Stampa”e su vari giornali nazionali e internazionali 

Tra gli ultimi paesi documentati: Haiti, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Ecuador, Nicaragua, Mali, Burkina Faso, Libano, Iran, Oman, Irak, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Siria, Etiopia, Niger, Mozambico, Mexico

Il suo lungometraggio “Aspettando domani” girato nella Repubblica Democratica del Congo, è stato proiettato in occasione del Festival Internazionale del cinema, cibo e videodiversità di Trento nel 2014.

Nel 2015 ha documentato dal porto di Augusta in Sicilia il dramma degli sbarchi di migranti, che ricevono le prime cure nei numerosi centri di accoglienza.

Nel 2017 in Kazakistan documenta il lavoro disumano dei minatori a meno 600 metri nelle miniere di Karaganda.

Nello stesso anno con Emergency in Sudan per il decennale dell’ospedale Salam Center a Khartoum.

Nel 2023 vince il Premio Anima per la fotografia.

A Marzo 2025 espone a Beirut nel museo Sursock la mostra personale “SHAMS” sui progetti educativi della Cooperazione Italiana

Per vedere il lavoro di Marco Palombi: https://www.marcopalombi.it

La precedente intervista di Frame for Life, la trovi qui: https://www.frameforlife.org/2024/06/26/marcopalombi/

* L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, istituita a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.  

I servizi dell’UNRWA sono destinati a palestinesi che, vivendo nell’ambito operativo dell’Agenzia – Giordania, Libano, Striscia di Gaza, Siria, e West Bank, inclusa Gerusalemme est – rientrano in tale definizione, sono registrati presso l’Agenzia e sono bisognosi di assistenza. I servizi forniti dall’UNRWA riguardano gli ambiti di istruzione, salute, soccorso e servizi sociali. Circa 1,4 milioni di refugees, approssimativamente un terzo dei complessivi 4,7 milioni, vivono in 58 campi presso cui sono ubicati i servizi dell’UNRWA. Fonte: https://leg16.camera.it/561?appro=810&L%27Agenzia+delle+Nazioni+Unite+per+i+rifugiati+palestinesi+del+Vicino+Oriente)